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martedì 21 giugno 2011

150 anni d'Italia – Unità d'Italia

Nel marzo del 2011 l'Italia ha compiuto 150 anni, un'età ragguardevole, alla quale si è giunti attraverso un lavoro lungo e costellato di spargimenti di sangue.
L'unione dell'Italia come tutti sanno ebbe luogo nel 1861 a marzo, ma i fermenti che portarono a quell'episodio nacquero anni prima, in tempi di gravi disagi per le classi già disagiate e dalla voglia di cambiamenti che queste persone avevano per poter vivere meglio.

L'inizio di tutto avvenne nel Risorgimento con i vari moti del periodo.
Vediamo una sintesi di questi tumultuosi anni.

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Alla fine del 1700 l'Italia fu conquistata da Napoleone, in periodi successivi che coprirono il lasso temporale dal 1796 al 1809.

Nel 1796 Napoleone inizia la sua campagna d'Italia partendo proprio dal Piemonte il cui sovrano venne costretto all'armistizio nel giro di due settimane; successivamente entrò in Milano e poi in Veneto. Nel 1797 con la firma del Trattato di Campoformio la Repubblica Veneziana venne annessa allo stato austriaco.
Nel 1802 venne proclamata la Repubblica Italiana con Napoleone come presidente. Questa prima repubblica ebbe vita breve in quanto con la nomina di Napoleone a Imperatore dei francesi, automaticamente divenne anche Re d'Italia e la Repubblica divenne Regno d'Italia.
Napoleone fece pesare la sua potenza sulle pretese austriache, il cui imperatore era anche imperatore dei romani, sconfiggendolo nel 1805 e ponendo fine al Sacro Romano Impero.

Il Regno d'Italia appena nato subì vari ampliamenti con nel 1808 annessione della Toscana e delle Marche e nel 1809 occupazione di Roma e cacciata del pontefice.

Nel giro di pochi anni però l'opera di Napoleone crollò, in seguito alla fallimentare campagna di Russia infatti il suo prestigio e la sua potenza si incrinarono e la coalizione degli stati europei riuscì a sconfiggerlo costringendolo ad abdicare nel 1814 e ad andare in esilio all'isola d'Elba. Da qui riuscì a tornare ripristinando il suo regno per cento giorni, ma troppo debole venne ulteriormente sconfitto e nel 1815 venne esiliato in maniera definitiva all'isola di Sant'Elena dove morì.

Da questo fatto ebbe inizio il periodo della Restaurazione con il Congresso di Vienna. I vari stati italiani vennero ripristinati con il ritorno sui singoli troni dei sovrani cacciati da Napoleone, solo se questo non urtava gli interessi delle potenze europee, in particolare dell'Austria. .

Nel Regno di Sardegna vennero rimessi sul trono i Savoia, ai quali è legata l'unificazione dell'Italia.
La storia di questi sovrani ebbe inizio nel 1032 con Umberto Biancamano che divenne signore della Savoia, della Moriana e d'Aosta. Da lui ebbe inizio una dinastia che con mosse astute riuscì a ingrandire i propri possedimenti e a conquistare titoli su titoli, passando da conti a duchi e poi a re.
Quando erano in Francia riuscirono a domare le mire espansionistiche della Francia stessa, e proprio per meglio difendersi si spostarono in Piemonte a Torino, diventando parte inscindibile della storia d'Italia

Il Regno Lombardo Veneto andò agli austriaci.

Il Ducato di Parma e Piacenza andò come vitalizio alla moglie di Napoleone e alla sua morte sarebbe tornato ai Borboni.

Il Ducato di Modena andò agli Asburgo-Este.

Il Granducato di Toscana andò agli Asburgo-Lorena

Lo Stato Pontificio perdeva Avignone ma conservava tutto il resto.

Il Regno delle Due Sicilie andò ai Borboni.

La Repubblica di San Marino conservava la sua libertà.

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Questo stato di cose però non piaceva alla borghesia che vedeva danneggiati i propri interessi economici poiché ritornavano anche le dogane e questo fermava i commerci interni da un territorio all'altro.
Iniziò così a fermentare il malcontento tra la popolazione che sfociò nei moti rivoluzionari che abbracciarono il periodo che va dal 1820 al 1848, con la nascita di società segrete a sfondo liberale democratico, la più famosa delle quali fu la Carboneria, con alti e bassi e molti spargimenti di sangue tra i rivoluzionari.

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Sulla scia dei moti rivoluzionari della Spagna che riuscirono a ottenere la concessione della Costituzione anche in Italia ci furono delle insurrezioni, che fallirono poiché non riuscirono a ottenere l'appoggio della popolazione.

Nel 1820 nel napoletano il re Ferdinando I si vide costretto a concedere la Costituzione, ma poi richiese l'intervento dell'Austria e nel 1821 la costituzione venne abolita e i rivoluzionari condannati a morte.

A Palermo i carbonari tramavano in segreto, ma la lungaggine delle assemblee per decidere il da farsi e l'insospettirsi della polizia, che obbligò un rivoluzionario al doppio gioco, portarono alla sconfitta della rivoluzione ancora prima che insorgesse e alla condanna dei rivoluzionari, con la raccapricciante esposizione delle loro teste per decenni a monito per altri rivoluzionari.

In Piemonte l'esercito dei rivoluzionari guidato da Santorre di Santarosa entrò in Torino costringendo il sovrano ad abdicare e, in assenza dell'erede, Carlo Alberto, in parte liberale e in parte debole e facilmente plasmabile, concesse la Costituzione. Ma Carlo Felice abolì la concessione e richiamò Carlo Alberto che ubbidendo a Carlo Felice affrontò i rivoluzionari e li sconfisse, tradendo così la simpatia che aveva dimostrato nei loro confronti.

Anche a Milano i moti rivoluzionari fallirono e gli insorti furono arrestati e condannati.

Questi primi moti si conclusero nel 1823 quando le truppe della Santa Alleanza guidate da Carlo Alberto entrarono in Spagna e ripristinarono la monarchia e mettendo sul trono Ferdinando VII Quest'ultimo , forte dell'appoggio straniero, represse ferocemente la rivoluzione.

Tra gli arrestati illustri di questo periodo abbiamo Silvio Pellico, di cui famoso è il libro “Le mie prigioni”
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Nonostante questo primo insuccesso delle rivoluzioni la Carboneria non si sciolse, ma continuò a lavorare in segreto fino a ritentare la sua opera rivoluzionaria nel 1830 con ulteriori insurrezioni.
Il là di questo nuovo periodo fu dato da una insurrezione nata in Francia, dovuta al tentativo del re Carlo X di ripristinare l'assolutismo. La borghesia non era d'accordo e si oppose e dietro di lei si mise anche la nascente classe del proletariato. In questo clima il re fece diversi errori, tra cui sciogliere la Camera considerata troppo liberale e limitando la libertà di stampa.
Il popolo oppresso reagì con violenza e in tre giorni costrinse il sovrano ad abbandonare il trono e il Parlamento dichiarava decaduta la dinastia borbonica, affidando il territorio a Luigi Filippo d'Orleans. Questi abilmente si fece proclamare re, concedendo comunque più diritti alla popolazione.
Inoltre egli stabilì i principio del non intervento, cioè ogni nazione era libera di decidere da sé cosa fare.

Questo creò molta effervescenza nel resto dell'Europa e anche l'Italia non fu esente da questa nuova influenza liberale e i moti nascosti ripresero a vivere e ad agire.
La prima cosa che i rivoluzionari volevano creare in Italia era l'abolizione delle dogane che fermavano i commerci e danneggiavano gli interessi economici della borghesia. Quindi Ciro Menotti, promotore di questi nuovi moti, mirava a un liberismo economico e a un liberismo politico. La rivolta partì da Modena, dapprima appoggiata dal duca Francesco IV, ma poi fatta fallire dallo stesso duca che timoroso della reazione austriaca denunciò Menotti e lo fece arrestare e impiccare.
Piccoli successi di questo periodo si ebbero nei ducati di Parma e Toscana e nello Stato Pontificio, ma la durata fu breve, in quanto gli austriaci riuscirono a ripristinare lo status quo.

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Figura di spicco nel 1830 fu Mazzini [1], che entrò a far parte della Carboneria. I suoi ideali puntavano a costituire un'Italia libera, indipendente e repubblicana, governata da uno Stato centralizzato in qualità di rappresentante dell'unità d'Italia. Tutto questo doveva essere raggiunto attraverso un'insurrezione popolare.
Arrestato in seguito a una denuncia, fu poi prosciolto per insufficienza di prove, ma fu posto davanti alla scelta dell'esilio o del confino in una cittadina piemontese. Per continuare la sua attività scelse l'esilio e andò a Marsiglia. Qui fondo la Giovane Italia, un'organizzazione che incitava la gente a insorgere, ma la portata dei suoi ideali fu tale che superò i confini italiani e divenne di respiro europeo e così fondò la Giovane Europa.

Un primo tentativo insurrezionale Mazzini lo attuò nel 1833 in Piemonte, ma il metodo aperto e temerario della Giovane Italia permise a Carlo Alberto di venire a conoscenza del fatto prima che fosse attuato e la repressione fu molto dura, in quanto riguardava l'esercito che era al servizio assoluto del re.
L'attività non si interruppe e nel 1834 l'azione insurrezionale partì dalla Svizzera, dove alcuni italiani si dovevano infiltrare nelle fila sabaude innescando la ribellione. Il segnale della rivolta sarebbe stato dato da Garibaldi [2], affiliato della Giovane Italia. Anche questo tentativo fallì e Garibaldi fu costretto alla fuga in America del Sud. Su di lui venne emessa una condanna a morte.

Per questi suoi atti Mazzini fu costretto a rifugiarsi in Inghilterra, da dove continuò lo stesso a far sentire i suoi ideali per cambiare i governi italiani. I focolai rivoluzionari nell'Italia meridionale non cessarono e anche stavolta il tentativo insurrezionale a opera dei fratelli Bandiera fallì poiché il governo inglese apriva la posta di Mazzini. Siamo nell'anno 1844.

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In seguito ai ripetuti tentativi rivoluzionari falliti di Mazzini, nasce un nuovo movimento, un movimento moderato che non puntava alle insurrezioni e agli spargimenti di sangue. Portavoce di questo movimento fu il Gioberti, cappellano alla corte di Carlo Alberto, poi implicato in un tentativo mazziniano e quindi esiliato.
Le basi di questo movimento, denominato neoguelfismo, soddisfacevano i benpensanti: nessuna rottura con il presente, conservazione delle dinastie, assente ogni tipo di appello all'insurrezione popolare, iniziativa dei principi e pieno rispetto dell'ordine costituito, completo accordo col papato, anzi la rinascita dell'Italia sarebbe dovuta essere guidata proprio dal papato secondo Gioberti.
Il caso del Lombardo – Veneto ancora sotto gli austriaci non lo affrontò. Invece secondo Balbo il comando doveva essere affidato ai vari principi che con peso di una minaccia armata avrebbe dovuto respingere l'Austria e unire l'Italia.
Comunque in questi anni si inizia a parlare di penisola e dei suoi problemi e non dei singoli regni separati. Un primo passo verso l'unione era stato fatto.

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Inizia un biennio, 1846 – 1848, di riforme in cui nei vari territori vennero fatte concessioni liberali. Il primo stato a concederle fu lo Stato Pontificio nel 1846, dove Pio IX concesse l'amnistia ai detenuti politici che però dovevano sottoscrivere, per goderne, un atto di pentimento, diede vita a una Consulta di Stato in qualità di organo giudiziario e amministrativo e acconsentì alla creazione della Guardia civica.
Sulla scia di queste prime riforme anche il Granduca di Toscana dovette cedere alle pressioni e concedere più libertà di stampa, acconsentire alla costituzione della Consulta di Stato e della Guardia civica.
L'Austria allarmata per questi fermenti si muove verso lo stato pontificio, nel 1847, e Carlo Alberto entra sulla scena , ma dietro il suo intervento si nascondono solo le sue mire espansionistiche, capite perfettamente da tutti gli altri sovrani che non vedono la cosa di buon occhio.
Inoltre il sovrano sabaudo non aveva ancora concesso nulla e i liberali dell'epoca videro nubi scure posarsi sul Piemonte a causa di questa politica assolutistica.
I molti fermenti costrinsero Carlo Alberto a qualche piccola concessione: una maggiore libertà di stampa e una riduzione dei poteri illimitati della polizia.
Nel 1847 si firmò la lega doganale tra Piemonte, Toscana e Stato Pontificio.

Alla luce di queste piccole concessioni in alcuni stati italiani, negli altri dove i sovrani si erano barricati nel più assoluto ostruzionismo ci furono diverse insurrezioni che vennero represse duramente con scontri tra i cittadini e le forze dell'ordine.
A Roma il malumore era rivolto verso i Gesuiti troppo fermi nel non voler concedere nulla e che tentavano di frenare il papa dal concedere altro. In Piemonte la tirchieria di Carlo Alberto nell'accettare di fare qualche piccola concessione liberale scatenò diverse proteste che culminarono nella manifestazione di Genova nel 1847, dove per la prima volta echeggiarono le note dell'inno di Mameli [3], che fu repressa da un'azione di forza del sovrano. La stessa cosa accadde in Toscana dove il capo dell'insurrezione fu mandato al confino.

Sempre nel 1848 a Palermo esplode una rivolta armata che porta la sconfitta dell'esercito e all'adozione della costituzione. Sulla scia di questo fatto anche nel regno borbonico gli insorti riuscirono a mettere alle strette il re che dovette concedere la costituzione.

Questo gesto mise alle strette i sovrani di Toscana, Piemonte e Stato Pontificio che si ritrovarono a dover concedere anche loro la costituzione. Fu in questo periodo che nacque lo Statuto Albertino [4].

Anche nel Regno delle due Sicilie e nel Lombardo – Veneto le insurrezioni furono represse con violenza.

A Milano agli inizi del 1848 si ebbero le “5 giornate di Milano”, conclusione di un episodio precedente di ribellione pacifica contro l'instaurazione da parte austriaca di una tassa sul tabacco in seguito alla quale la popolazione smise di fumare. La risposta asburgica non si fece attendere e ci furono violenti tafferugli con alcuni morti e molti feriti. Ma la vittoria fu della popolazione milanese.
Approfittando di questo episodio, Carlo Alberto decise di intervenire e dichiarare guerra all'Austria, dando il via alla I Guerra d'indipendenza. Questo gesto ottenne l'inoltro di molte truppe dai vari regni e perfino l'appoggio dei volontari di Garibaldi, tornato dall'esilio. Ma il sovrano sabaudo non seppe sfruttare le forze a sua disposizione. Infatti temendo una vittoria schiacciante dei democratici popolari e quindi la formazione di una repubblica sul modello francese, fece degli errori di strategia non riuscendo a sfruttare il vantaggio della prima sconfitta dell'esercito austriaco, permettendogli di rifugiarsi in una fortezza e di avere rinforzi. Alla luce della nuova situazione le sorti si ribaltarono e Carlo Alberto si trovò costretto a firmare un armistizio con Radetzky.
Fu tacciato come traditore dalla popolazione.
In seguito a questo fatto il sovrano sabaudo fu costretto ad abdicare. Il figlio Vittorio Emanuele II mantenne valide tutte le concessioni fatte dal padre, perfino lo Statuto Albertino. Gli austriaci non furono troppo duri con giovane sovrano.

Alcune resistenze popolari si hanno ancora in alcuni stati, dove i sovrani erano fuggiti in seguito ai fermenti rivoluzionari. Fu in questo periodo che nacque la Repubblica Romana difesa da Garibaldi.
L'intervento francese fu decisivo per la caduta della neo nata Repubblica Romana. Infatti Luigi Napoleone Bonaparte, operando in malafede, intavolò delle trattative con Mazzini eludendo così la resistenza democratica, poi con l'appoggio della maggioranza conservatrice attaccò la repubblica sconfiggendola nel 1849.

Contro Venezia invece intervennero gli austriaci che con un blocco navale impedirono gli approvvigionamenti alla città, prendendola per fame. Solo dopo quattro mesi di lotta il governo si arrese e scese a patti, ottenendo in rispetto del loro coraggio condizioni non troppo sfavorevoli.

Ebbe così fine la I Guerra d'Indipendenza.

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In questo periodo post fallimentare dei moti degli anni quaranta, riprendono vigore i moti mazziniani con una serie di insurrezioni tutte fallite per la mala organizzazione delle stesse, ma la situazione fece si che l'Austria si muovesse duramente contro tutti i territori dove vi erano stati dei moti, reprimendo con il sangue tutte le insurrezioni e imponendo il ritorno ai regimi assolutistici, con la sua supervisione. Tutte le concessioni liberali vengono ritirate.

L'unico stato che non si adeguò fu il Regno di Sardegna, dove Vittorio Emanuele mantenne la costituzione concessa da Carlo Alberto, consapevole che questa mossa gli avrebbe procurato le simpatie di tutti i liberali e antiaustriaci della penisola. L'allora governo guidato da Massimo D'Azeglio promulgò delle leggi per limitare i privilegi del clero in Piemonte, pur mantenendo una posizione conservatrice su tutto il resto, perfino sull'interpretazione dello Statuto Albertino. A favore di queste leggi parlò il ministro Camillo Benso conte di Cavour [5], appena entrato a far parte della scena politica in qualità di ministro del commercio, dell'agricoltura, delle finanze e della marina. Personaggio carismatico e di larghe vedute riesce a spiccare su tutti gli altri e nel 1852, grazie ad abili alleanze strette all'interno del Consiglio, diventa primo ministro, affiancando il re nel governo del regno, e quindi presidente del Consiglio al posto di D'Azeglio che si dovette dimettere.
Inizia ufficialmente un periodo di grandi riforme per il Regno di Sardegna e per l'Italia in generale.

Cavour era ben cosciente che per raggiungere i suoi scopi aveva bisogno di alleanze con le altre potenze europee, fece le mosse opportune per ottenerle.
Affiancò la Francia di Napoleone III nella guerra di Crimea, sperando in un intervento dell'Austria a favore dello Zar di Russia e quindi in una guerra antiaustriaca. L'Austria però non intervenne mantenendosi neutrale. Abilmente Cavour fece dello smacco una piccola vittoria al Congresso di Parigi, dove alle grandi potenze europee fece notare i problemi italiani. L'Austria fu messa sotto accusa dal congresso per i suoi atteggiamenti assolutistici e repressivi.
Con questa mossa era riuscito a far entrare il Piemonte nel complesso gioco politico e diplomatico delle grandi potenze europee. Inoltre accettò un'alleanza con Francia e Inghilterra.

A livello interno Cavour istituisce la Società Nazionale, appoggiando di fatto i movimenti liberali di Mazzini, ma ponendo alla guida dell'unificazione i Savoia. La presidenza di tale società fu affidata a Manin e Garibaldi.
Con questa mossa impose sul panorama liberale della penisola come stato guida nel 1857.

Nel 1858, con il Convegno di Plombières, strinse un'alleanza segreta con Napoleone III per avere un valido appoggio contro l'Austria, ma la clausola imposta dal sovrano francese era che l'appoggio ci sarebbe stato solo se l'Austria avesse attaccato per prima. In base agli accordi al Piemonte sarebbero stati annessi il Lombardo – Veneto e l'Emilia e nel resto dell'Italia sarebbero stati creati due regni governati da principi francesi, unica eccezione il Lazio che rimaneva al pontefice. Per l'aiuto concesso la Francia avrebbe avuto in cambio la Savoia e Nizza.

Nel 1859 in seguito ad atteggiamenti provocatori nei confronti dell'Austria, quest'ultima inviò le sue truppe sul suolo piemontese. La Francia intervenne come da accordi. Da una parte l'esercito sabaudo, dall'altra quello francese e infine i Cacciatori delle Alpi guidati da Garibaldi, l'esercito austriaco perse su tutta la linea. Molti territori sotto il dominio austriaco si ribellarono e si unirono al Piemonte.
Napoleone III capì la piega che stava prendendo la situazione, cioè l'unificazione dell'intera penisola, e di nascosto trattò con l'imperatore d'Austria, ottenendo la cessione della Lombardia, meno Mantova e Peschiera.
Vittorio Emanuele dovette accettare il fatto compiuto, ma Cavour diede le dimissioni indignato. Napoleone III si screditò con questo gesto.

Finisce così la Seconda Guerra d'Indipendenza, aprile 1859 – luglio 1859.

Successivamente grazie al favore inglese a una unificazione del territorio italiano, che avrebbe annullato l'influenza francese sulla penisola, nel 1860 Cavour torna come primo ministro. Si accordò con Napoleone per annettere al Piemonte l'Emilia – Romagna e la Toscana, dandogli in cambio Nizza e la Savoia, a cui il sovrano francese aveva rinunciato con il trattato con gli austriaci

Il Regno di Sardegna comprendeva così: Piemonte, Valle d'Aosta, Sardegna, Lombardia, Emilia – Romagna, Liguria e Toscana. Rimanevano ancora in mano allo Stato Pontificio Umbria, Marche , Lazio e il sud Italia. Questo costò la scomunica papale al Re Vittorio Emanuele II, a Cavour e a tutti membri del governo e del parlamento

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Nel 1860 Cavour intravedeva la possibilità dell'unificazione dell'Italia, seppur con difficoltà dovute alla Francia, che non avrebbe accettato un attacco contro lo Stato Pontificio, e all'Austria, pronta ad approfittare di ogni più piccolo passo falso per reinserirsi nel gioco politico italiano.
Con la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia la politica sabauda ne era uscita screditata e questo era il problema più grave. Quindi l'unico modo per poter attuare l'unificazione era attraverso il partito d'azione, che godeva di enorme popolarità riflessa da Garibaldi e poteva agire fuori dalla politica.

L'avvio alla rivoluzione fu dato dalle insurrezioni contadine del 1860 in Sicilia. Garibaldi intervenne con i suoi Mille (già vestiti della famosa camicia rossa) volontari, composti dal fior fiore della gioventù mazziniana e quindi fortemente credenti negli ideali di unione della penisola. Vittorio Emanuele II era disposto ad aiutare i volontari contro il parere di Cavour, che doveva valutare attentamente ogni sua mossa ufficiale per non compromettere i giochi politici internazionali.
La spedizione garibaldina raggiunse la Sicilia via mare sbarcando a Marsala. Qui l'eroe dei due mondi proclamò la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II e continuò a marciare verso l'interno insieme ai suoi mille e ai picciotti, popolani che speravano in un cambiamento in meglio delle loro condizioni di vita promesse da Garibaldi. Ma ben presto si resero conto che le promesse di Garibaldi non erano concrete in quanto per il successo della spedizione tendeva a creare alleanze con i proprietari terrieri, disposti ad assumere atteggiamenti liberali e favorevoli a Casa Savoia pur di mantenere i loro privilegi. Proprio in seguito a tali alleanze i garibaldini repressero duramente i moti rurali anche quando i contadini richiedevano che Garibaldi mantenesse le promesse che aveva fatto loro.

La marcia di conquista intanto continuava e i tentativi di Francesco II di fermare Garibaldi fallirono tutti, tanto che fu costretto a rifugiarsi a Gaeta, protetto solo da una parte del suo esercito.

Garibaldi giunge a Napoli e qui viene raggiunto da Mazzini che preme perchè venga creata un'Assemblea Costituente per dare un nuovo assetto politico all'Italia, ben sapendo che la sua speranza era inutile e che i Savoia avevano ormai vinto.
L'Italia meridionale era libera.

Garibaldi compiuto il suo lavoro nel sud, decise di continuare a salire per raggiungere Roma e annetterla all'Italia. Questo preoccupò molto Cavour per via dell'intervento francese e decise di prevenire l'imperatore Napoleone, che alla prospettiva della creazione di una repubblica sollecitò Cavour a far intervenire l'esercito piemontese. Così fu e nel 1860 a Teano vi fu l'incontro tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi. Le truppe garibaldine non furono annesse all'esercito piemontese come era stato richiesto, e come ultima umiliazione no furono neanche passate in rivista dal sovrano. Garibaldi deluso si ritirò a Caprera.
Con un plebiscito l'ex regno borbonico, l'Umbria e le Marche venivano annesse al Piemonte.

Il 17 marzo 1861 venne dichiarata dal Parlamento italiano riunito a Torino l'Unità d'Italia e Vittorio Emanuele Ii venne incoronato primo re d'Italia.

Rimanevano ancora fuori dall'unità il Lazio e le Venezie.

Il nuovo regno non nasceva certo privo di problemi, anzi ne aveva moltissimi dovuti a differenze istituzionali tra i vari territori ora diventati uno solo. Il problema fu largamente capito da Cavour, che però non ebbe il tempo di iniziare a impostare una soluzione poiché nel giugno del 1861, a pochi mesi dall'Unità d'Italia, morì. I suoi successori si preoccuparono solo di estendere a tutta la penisola gli ordinamenti piemontesi, imponendo il servizio militare obbligatorio e un tipo di pressione fiscale che al posto di colpire la classe agiata colpiva la povera gente (come oggi, purtroppo!). Insomma un tipo di governo sordo ai problemi del suo popolo (molto simile a quello odierno!).
A livello interno continuavano a permanere problemi di analfabetismo, scarsa industrializzazione, mancata protezione della classe lavoratrice (quasi tutta agricola), centri urbanizzati che dipendevano dalle campagne per il sostentamento senza però fornire prodotti industriali , scarsità di materie prime, scarsità di linee ferroviarie. Tutto questo contribuiva a ritardare la creazione di un mercato nazionale unitario. E a ritardare la soluzione di questi problemi era l'allora classe politica, rigidamente centralizzata, composta da una destra conservatrice e una sinistra che faceva richieste molto blande, in tal modo il problema sociale rimase senza soluzione.

Dopo la morte di Cavour il suo successore organizzò il governo in provincie amministrate da prefetti, suddivise in comuni amministrati da consigli comunali elettivi presieduti da sindaci di nomina regia, il tutto per centralizzare il potere in mano al re.
Altro passo falso fu l'estensione dello Statuto Albertino a tutta l'Italia, sostituendolo anche a quelle costituzioni più progredite, al posto di rielaborare una costituzione più adatta a un territorio tanto vasto e con vari problemi diversi.

La leva obbligatoria, la pressione fiscale elevata, l'assenza dello stato nei confronti dei più deboli fecero crescere il già esistente fenomeno del brigantaggio nel mezzogiorno nel periodo tra il 1861 e il 1865. Si arrivò a vere e proprie guerriglie tra le bande e i cosiddetti galantuomini che avevano monopolizzato il potere.
I briganti trovarono un appoggio nei Borboni che vedevano in questo un modo per ritornare al potere e riconquistare i loro territori. Il governo reagì duramente a questo fenomeno mettendo in moto una potenza militare enorme che agì in modo efferato.

Parallelamente agli eventi del Mezzogiorno anche nel nord le cose non andavano meglio. Morto Cavour i ministri che gli succedettero non riuscirono a essere alla sua altezza e non durarono. Nel periodo tra il 1861 e il 1862 Garibaldi, ufficialmente osteggiato da Vittorio Emanuele II, tentò una marcia su Roma per conquistarla ma venne fermato dal governo piemontese per ordine di Napoleone III. Nel frattempo lo stesso governo decise di spostare la capitale da Torino a Firenze, il primo passo che avrebbe poi portato la capitale a Roma. Questo fatto provocò una grave crisi a Torino, dove tutta l'economia ruotava attorno al governo. Scoppiarono gravi incidenti che provocarono morti e feriti, ma questo non fece desistere il re a spostare la capitale e nel 1865 a opera del governo Lamarmora Firenze divenne capitale. A Torino alcuni deputati piemontesi crearono la Permanente opponendosi così al governo.

Nel 1864 un problema estero iniziava a raggiungere la sua soluzione: Roma e lo Stato Pontificio , nella persona del Papa Pio IX, stavano compiendo da soli quei passi che avrebbero permesso all'Italia di annetterli nel 1870. Infatti l'intransigenza del papa, che aveva abbandonato ogni idea liberale, lo portò a emanare il Sillabo (che rimase entro i limiti dello Stato Pontificio) nel quale erano raccolte tutte le sue lettere a conferma del suo disaccordo con il nuovo governo, con la libertà di stampa e con il principio democratico e liberale della sovranità popolare.
Questa presa di posizione valse al papa l'abbandono da parte dei suoi alleati e quindi la mancanza di difese, dovuta anche alla caduta di Napoleone III, quando nel 1870 con un ulteriore marcia su Roma da parte delle truppe italiane essa venne annessa al Regno d'Italia: 20 settembre 1870 – Breccia di Porta Pia. Il 2 ottobre 1870 con un plebiscito Roma venne annessa definitivamente al Regno d'Italia.
Nel 1871 Roma diventa capitale del Regno d'Italia, così come era stato pianificato quando l'operazione di unificazione fu avviata.
In quegli anni scoppiò anche una violenta ondata anticlericale in tutta Europa.

Per completare l'unione dell'Italia, quindi annettere al regno anche i territori mancanti, nel 1865 il governo italiano inizia trattative segrete con l'Austria. Quest'ultima sperando di allontanare l'Italia dall'imminente guerra con la Prussia accetta di cederle il Veneto, ma Lamarmora non accetta e porta il paese in guerra (1866). Dopo vari scontri e una decisiva vittoria prussiana, Prussia e Austria giunsero a un armistizio che costrinse anche l'Italia ad accettare lo stato dei fatti. Il governo austriaco cedeva alla Francia di Napoleone III il Veneto e parte del Friuli Venezia Giulia e questi a sua volta li cedette all'Italia.

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